Il Quartiere Coppedè


Una suggestiva passeggiata tra simboli e allegorie esoteriche

villino delle fate

Villino delle fate di piazza Mincio 3

Progettato e realizzato dall’architetto (nonché scultore e decoratore) Gino Coppedè nel 1915 nell’ambito del rione Trieste, il quartiere è composto da diciassette villini e ventisei palazzine con torrette toscane, sculture liberty, archi moreschi, gargolle gotiche, facciate affrescate e giardini con le palme: tutte costruzioni nelle quali l’architetto espresse le sue geniali invenzioni, passando dal medioevo al barocco, dalla Grecia classica al liberty, dall’art déco all’art nouveau. Il percorso alla scoperta del quartiere non può che partire da Via Tagliamento, a pochi passi dalla storica discoteca Piper (in cui muovevano i primi passi Renato Zero, Patty Pravo e Mia Martini e dove negli anni ’70 si esibirono anche Pink Floyd, Beatles e Nirvana). Entrando dal grande arco, dove pende inusuale un enorme lampadario in ferro battuto, si giunge a Piazza Mincio, dove il l’architetto fiorentino realizzò la Fontana delle rane, costituita da due vasche collocate una sopra all’altra e arricchita da conchiglie e figure varie sulla quale si affacciano palazzine e villini tra cui quello “del Ragno” ed il celebre “Villino delle Fate”, realizzato con i materiali più svariati (vetro, ferro battuto, legno, marmo, travertino) ricco di ornamenti, loggiati e fregi di vari colori, con rappresentazioni della città di Firenze, di Dante e Petrarca, della lupa capitolina e di Venezia, ed infine quello ispirato alla scenografia di Cabiria, primo film della storia del cinema italiano. La dimensione quasi fantastica di questo luogo suggestivo di Roma ha ispirato più di una pellicola: il quartiere Coppedè ha decisamente ammaliato il regista horror Dario Argento che lo ha utilizzato come location di due tra i suoi più famosi lungometraggi: “Inferno” e “L’uccello dalle piume di cristallo”, ma anche scene di altri film sono state girate qui come “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli, “Ultimo tango a Zagarolo” di Nando Cicero e “Audace colpo dei soliti ignoti” di Nanni Loy con Vittorio Gassman. Tutta l’area e’ comunque un gioiello da ammirare con calma e attenzione; ed è facile che la sua visione, oltre a colpire per la fantasia e l’estrosità dell’artista, susciti alla mente un mondo onirico e fiabesco capace di rapire l’immaginazione e il cuore.  I simboli, le allegorie e le figure ancestrali e apotropaiche (salamandre, cavallucci marini, api, rane, meduse…) che adornano le facciate degli edifici e della fontana e ci faccia cogliere il legame “esoterico” tra tradizione e modernità. Vi ritroverete catapultati in un’atmosfera sospesa nel tempo, dove elementi architettonici e decorativi inaspettati, asimmetrici, apparentemente contrastanti tra loro vi sorprenderanno. In contrasto con l’architettura umbertina (razionale e monumentale) e la cultura dominante dell’epoca (ventennio fascista), Coppedè ci regala un esempio architettonico degno della tradizione artistica della capitale. Medievalismo, richiami al rinascimento, esoterismo, allegorie, scene cavalleresche, figure mitologiche, statue, fregi, mascheroni, bugnati… il tutto combinato con vena decorativa originale e suggestiva.

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